Difficile commentare le disgrazie, ma alla fine anche chi si occupa di tecnologie si trasforma in “cronista del dolore” e specula senza vergogna sulle drammatiche disavventure che costellano lo scenario digitale. Ancora davanti agli occhi il cadavere dei sistemi informatici della Regione Lazio che non ne vuole sapere di resuscitare a dispetto di esperti compiacenti e di politici nelle mani di ventriloqui, siamo costretti a sobbalzare nello scoprire che a finire vittima degli hacker è una delle realtà leader nel settore della cybersecurity.
È toccato in sorte ad Accenture, la grande azienda che sul suo sito scrive “Creiamo soluzioni di cybersecurity ritagliate sulle specifiche esigenze di business dei clienti. Li difendiamo dai cyberattacchi grazie a una threat intelligence proattiva, focalizzata e specifica per settore di mercato, infondendo così la fiducia necessaria per far crescere il loro business in modo sicuro”. A finire al tappeto è la realtà che reclamizza le sue iniziative ricordando – a proposito della “Hackademy” aperta con l’Università Federico II di Napoli – “Una formazione in cybersecurity apre ogni porta”. In questa circostanza però c’è il timore che qualche autodidatta abbia spalancato anche portoni e finestre. La banda del ransomware LockBit probabilmente non è passata sui banchi di scuola e, anzi, ha preferito dimostrare che le parole “hacker” e “hacking” non dovrebbero essere oggetto di speculazioni commerciali perché il loro impiego rischia di ritorcersi su chi ne fa un utilizzo “sacrilego”. Un post nel portale che questa cricca ha nel dark web ha fatto capire che il vuoto, lasciato dal periodo di ferie che si sono presi DarkSide e REvil, è stato celermente colmato e per di più con un colpo davvero grosso. È così partito il consueto countdown cui i pirati informatici sembrano particolarmente affezionati. Il conto alla rovescia può essere interrotto solo dal pagamento in bitcoin o altra cryptovaluta della somma stabilita come riscatto: se il versamento non avviene scatta la divulgazione di quel che è stato sottratto. Eh già, perchè sono gli stessi criminali a sottolineare che i file sono stati prima “rubati” e poi è avvenuta la cifratura indebita del loro originale memorizzato sui sistemi di Accenture. A differenza di quel che è successo alla squadra del Presidente Zingaretti, Accenture ha assicurato di aver prontamente ripristinato i propri sistemi facendo ricorso ad adeguati backup rimasti illesi nella collisione con il vascello pirata di LockBit. Il problema, però rimane, perché incombe il rischio della pubblicazione di archivi e dati e magari il pericolo della vendita delle informazioni riservate maggiormente appetibili per la concorrenza e per i malintenzionati. A questo punto è inevitabile domandarsi cosa contenessero i forzieri elettronici di Accenture: il “tesoro” include per caso qualche cosetta che in realtà appartiene ai suoi clienti? E, se sì, cosa? Va detto che – pur in direzione presumibilmente opposta all’intenzione promozionale – Accenture ha incarnato a pieno il suo slogan “Diventa protagonista della cybersecurity”. D’altronde il ciclope della consulenza aveva ragione: “Le minacce informatiche sono sempre più sofisticate”… ARTICOLO GENERALE RAPETTO